Organi Collegiali

Il Codice di Diritto Canonico, traducendo in ordinamenti giuridici le acquisizioni teologiche del Concilio Vaticano II, ha definito la Parrocchia come una determinata comunità di fedeli (can. 515), focalizzando l’attenzione sulle persone che ne sono responsabili, dal più alto piano teologico a quello più concreto e pratico. Essa quindi, come ogni organismo comunitario, va organizzata attraverso strutture che favoriscano la Comunione e la Missione.

1.1 Il Consiglio pastorale

Primo strumento di comunione e corresponsabilità ecclesiale è il Consiglio Pastorale Parrocchiale. Esso è l’organismo di programmazione e di coordinamento di tutta l’azione pastorale della Parrocchia, stabilisce l’art. 2 dello Statuto. Ha il compito di elaborare il programma pastorale annuale della parrocchia, in attuazione del piano generale della diocesi e del programma pastorale della forania, tenendo conto delle esigenze e delle necessità locali, di verificare e coordinare l’azione pastorale delle associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali esistenti in parrocchia, […] stimolare la partecipazione di tutti i battezzati per la soluzione dei problemi della comunità ecclesiale e per il servizio di promozione umana nell’ambito sociale /…/, specifica l’art. 3. Esso deve reggersi sullo spirito di servizio e sulla ricerca del bene comune. Compito del Consiglio Pastorale è anche quello di favorire il dialogo tra le varie componenti parrocchiali e la conoscenza delle varie iniziative e dei problemi dei vari ambiti pastorali. Il confronto arricchisce e dilata gli orizzonti, porta ogni operatore pastorale ad apprezzare l’opera degli altri, per giungere ad avere presente un quadro globale della Parrocchia, senza visioni unilaterali ed esclusive, evitando anche sovrapposizioni di iniziative, coinvolgendo tutti in quelli che devono essere impegni comunitari, come ad esempio le celebrazioni liturgiche. Compito del Consiglio è anche quello di impedire una crescita disarmonica della Comunità evitando che alcuni settori progrediscano più e a discapito di altri. Le Commissioni relative alle tre Aree (Profetica, Sacerdotale e Regale) sono l’anima del Consiglio Pastorale, sono come il motore che avvia e regola il suo cammino poiché esse, non solo individuano gli argomenti da trattare, ma studiano già in precedenza i pro e i contro di ogni possibile soluzione, perché l’assemblea venga subito in possesso dei dati e possa fare le sue valutazioni. Referente del Consiglio Pastorale, in qualità di Segretario, Marco Lugni.

1.2 Consiglio affari economici

Organismo di comunione è anche il Consiglio affari economici (can. 537). Infatti la gestione economica di una Parrocchia non è un qualcosa a sé stante, ma fa parte della vita di una comunità. I membri che lo costituiscono devono svolgere il loro compito di gestione amministrativa con lo stesso spirito di servizio che si pone in tutte le altre attività parrocchiali, dalla liturgia, alla catechesi, alla carità. Referente Iannelli Luigi. Perché gli organismi di partecipazione funzionino occorre: a) Superare le barriere: 1) Accettate le diversità: non siamo identici, siamo diversi (età, condizione, collocazione…). La diversità è dono di Dio e va accolta con gioia. 2) Liberarsi dai pregiudizi: se vogliamo imparare a discernere dobbiamo non aver pregiudizi. Con il pregiudizio non si giudica perché si è già giudicato. 3) Vincere l’egocentrismo: ciascuno si fa “centro” e criterio di tutto e di tutti. 4) Imparare ad ascoltare: nei Consigli è importante la capacità di ascolto. 5) Essere disposti ad accettare: se c’è un atteggiamento di chiusura agli altri, è inutile fare dei Consigli. 6) Smontare i meccanismi di difesa: tutti abbiamo meccanismi di difesa inconsci, che nascono dalla mentalità, dalle abitudini, dalle situazioni in cui ci troviamo, dalle simpatie e antipatie. Perché funzioni la partecipazione sul piano ecclesiale, occorre che questi meccanismi si smontino. Diversamente il nostro creare comunione è velleità. 7) Essere disponibili a cambiare idea: il cambiare idea non è segno di debolezza, ma di maturità. Cambiare idea significa ragionare. Se le mie idee, confrontate con le altre o attraverso lo studio o la riflessione, le vedo o parziali o erronee, saggezza ed intelligenza esigono che io le cambi, perché non è da uomo, è da mulo, perseverare nelle idee sbagliate. b) Rappresentare le persone: non si è in un Consiglio a titolo personale, perché più buoni o più bravi, ma per rappresentare un gruppo o una commissione o una zona pastorale. Il dovere è quello di rappresentare bene. Questo rappresentare bene impone: 1) Il contatto con le persone che si rappresentano: non si può essere delegati e poi vivere isolati. 2) L’ascolto delle persone che si rappresentano. 3) L’interpretazione: interpretare significa fare proprio e partecipare interiormente. c) Studiare i problemi: 1) Documentazione: non si può pensare di fare del proprio cervello il criterio di tutti. 2) Riflessione: documentarsi e poi riflettere. È indispensabile diffidare delle voci. 3) Propositività: i Consigli sono organi di proposta. Propositività significa farsi carico, non di dare le soluzioni, ma di costruire le soluzioni. Significa che di fronte ai grandi problemi ci si documenta, si riflette e, per quello che si può e compete, si propone. Se la proposta non c’è, il risultato non sarà mai possibile. Si riuscirà a fare un po’ di cammino se ci sarà volontà di incontro, di progettare insieme, “portando gli uni i pesi degli altri” e contribuendo tutti alla gioia di tutti. Questa è la direzione in cui dovranno camminare i Consigli di partecipazione.

 

 

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